S. FRANCESCO E IL SULTANO NELL’ARTE

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L’EROICO VIAGGIO IN TERRA SANTA
DEL FRATICELLO D’ASSISI 
DALLA LEGENDA DI BONAVENTURA
AI CAPOLAVORI DEL RINASCIMENTO

___di Fabio Giuseppe Carlo Carisio con testo di San Bonaventura ___

«Nel 1219 Francesco realizzò finalmente un suo ardente desiderio: predicare la fede cristiana ai musulmani. Questo evento viene narrato nel nono capitolo della Legenda Maior, dove Bonaventura parla della carità che spingeva Francesco a voler annunciare il Vangelo a tutti gli uomini, e dell’attrazione che il santo provava davanti alla possibilità del martirio. La funzione di questo episodio è infatti quella di associare Francesco al grado più alto della santità cristiana, quello dei martiri, dimostrando la completa disponibilità del Poverello a morire per Cristo. Raggiungendo l’esercito crociato a Acri e poi a Damiata, Francesco ottenne dal legato pontificio di potersi recare, al suo rischio e responsabilità, dal principe musulmano, il sultano Melek-el-Kamel». A spiegare sinteticamente il movente spirituale del viaggio che il Patrono d’Italia volle compiere in Terra Santa è l’autorevole storico cattolico monsignor Timothy Verdon, canonico del Duomo di Firenze, Direttore dell’Ufficio di Arte Sacra e Beni Culturali dell’Arcidiocesi di Firenze, uno dei massimi esperti viventi di storia dell’arte cristiana. Il suo conciso ma eloquente intervento agiografico è una premessa al commento critico dell’opera attribuita a Giotto di Bondone, la cosiddetta “Prova del fuoco”, l’undicesima delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di San Francesco della Basilica superiore di Assisi. E’ la famosa “ordalia” con cui il frate assisiate sfidò il Sultano ed i sacerdoti islamici per dimostrare la potenza di Dio.

IL VIAGGIO DEL PAPA A 800 ANNI DALL’EVENTO

Giotto di Bondone – San-Francesco davanti al Sultano – affresco del 1295 eca, cm. 230×270 – Basilica di Assisi

Un episodio controverso nella storia del Santo perché da alcuni indicato come epifania della supremazia devozionale del Cristianesimo sull’Islam e del trionfo della religione di Gesù Risorto su quella dell’autoproclamato profetaMaometto, da altri, soprattutto dopo il Concilio Vaticano II, come il primo momento di dialogo interreligioso e di fratellanza universale. Le fonti storiche fanno risalire questo incontro al 1219 a Damietta, in Egitto, ed è proprio anche l’ottocentesimo anniversario di questa ricorrenza che ha indotto l’attuale omonimo Papa Francesco ad effettuare in chiave simbolica il viaggio pastorale negli Emirati Arabi Uniti, in visita alla comunità cristiana di circa 900mila fedeli, il 10 per cento della popolazione a maggioranza musulmana Sunnita e in minoranza Sciita. Per quanto le interpretazioni “buoniste” sulla necessità di un dialogo ecumenico nel rispetto dei differenti credo si siano sforzate di “edulcorare” la spedizione di San Francesco come una missione di pace tra i popoli appare indiscutibilmente chiaro che il suo fu primariamente un ardito tentativo di evangelizzazione di un importante sovrano musulmano, per convertirlo all’unico vero Dio di Abramo rivelato dalla Bibbia, dai suoi patriarchi, profeti e santi fino al martirio. Ed è proprio monsignor Verdon a ricordarci che il poverello d’Assisi andò in cerca di quel sacrificio estremo di sé stesso che la sua devozione accreditava come meritevole della santità. Con ciò non si fraintenda come ispirata da un vacuo gesto di vanità spirituale la volontà adamantina del fraticello che covava davvero il sacrosanto auspicio di convertire gli islamici, rei di quelle efferate occupazioni della Terra Santa, che martirizzarono migliaia di Cristiani e Giudei nei modi più atroci solo perché infedeli, ispirando a Papa Urbano II la Prima Crociata per la liberazione di Gerusalemme in aiuto all’Impero Bizantino. Francesco ci andò in occasione della Quinta, quando ormai molte delle motivazioni spirituali ed umanitarie, di fatto paragonabili a quelle dei Caschi Blu dell’Onu di oggi, avevano purtroppo lasciato spazio alle velleità di conquista dei policiti potenti del tempo. Ecco quindi la storia di quell’incontro ripercorsa senza fronzoli ma dalle dirette parole di San Bonaventura da Bagnoregio, l’agiografo per antonomasia della storia del Santo.

 

UN SANTO VOTATO AL MARTIRIO ANCHE PER DANTE

Come riporta un articolo di Marco Bartoli per il portale Festival del Medioevo dal titolo “Francesco e il sultano, anatomia di un incontro” pare accreditata da più fonti la tesi che il santo andò in Terra Santa proprio per convertire i musulmani a costo del martirio più che per cercare la pace. Partito dal porto di Ancona il 24 giugno 1219 con 11 compagni, tra cui Pietro di Cattanio raggiunse l’Egitto. «Il primo a parlarne è Giacomo da Vitry, vescovo e predicatore, che aveva nella Crociata un ruolo ufficiale. Egli parla della visita di Francesco al sultano per la prima volta in una lettera del febbraio o al massimo del marzo 1220, cioè a una distanza di pochi mesi dall’avvenimento.
Il commento dell’alto prelato, che non fa il nome di Francesco ma dice che si tratta del fondatore dell’Ordine dei Frati Minori, è che, con la sua iniziativa, egli “non ha ottenuto granché” – scrive appunto Bartoli – Giacomo ritornò poi a parlare dell’incontro qualche anno più tardi, tra il 1223 e il 1225, nella sua opera maggiore: la Historia Occidentalis, composta quando ormai la crociata si era rivelata un fallimento. In questo contesto la valutazione dell’iniziativa di Francesco (di cui adesso si fa esplicitamente il nome) è tutt’altra perché, a dire di Giacomo, adesso “i saraceni ascoltano volentieri i frati minori quando predicano la fede in Gesù Cristo e l’insegnamento del Vangelo”». Da questa prima fonte si passa alle successive con un anonimo redattore «schierato dalla parte di Giovanni di Brienne, re di Gerusalemme che, nel corso della crociata, si era più volte scontrato con il delegato papale, cardinal Pelagio – si aggiunge nell’articolo – Questa fonte, che risale probabilmente agli anni 1227-1229, mette in cattiva luce il cardinal Pelagio, mentre presenta Malik Al-Kâmil come un saggio sovrano che dialoga cortesemente con i due “chierici” cristiani (anche questa fonte non fa il nome di Francesco) che si erano recati da lui». Le fonti successive alla canonizzazione di Francesco (avvenuta nel 1228) partono da Tommaso da Celano nella sua Vita beati Francisci da cui traspare la conferma che il poverello d’Assisi si sia recato «in Siria» per la sua sete di martirio. Una tesi avallata dal principale storico del medioevo, il primo reporter della contro-informazione ante-litteram, Dante Alighieri, che lo colloca ai vertici della sua Divina Commedia: «Per la sete del martiro nella presenza del Soldan superba predicòCristo e l’altri che ‘l seguiro (Paradiso XI, 100-102)».

 

LA LEGENDA MAIOR DI SAN BONAVENTURA

Il frontespizio della Legenda Maior – CLICCA SULL’IMMAGINE PER IL PDF INTEGRALE DEL TESTO

Dopo di lui Enrico d’Avranches propose un poema in versi nel quale l’incontro con il sultano assume il carattere di una dotta disputa tra maestri di teologia. Ma è indubbiamente alla Legenda Maior di San Bonaventura da Bagnoregio,denominato Doctor Seraphicus (serafico), Ministro generale dell’Ordine dei Frati Minori (francescani appunto), poi insegnante alla Sorbona di Parigi ed amico di san Tommaso d’Aquino, quindi cardinale Vescovo di Albano, che si deve la ricostruzione più dettagliata del viaggio in Terra Santa. Ecco perché, prima della chiosa finale, ci limiteremo a riportare integralmente il testo originale senza commenti ma con una doverosa promessa: molti agiografi medievalisti non indugiavano sulle fonti perché ispirati dallo Spirito Santo nella loro narrazione devozionale e consapevoli del grave peccato che si sarebbe commesso facendo “falsa testimonianza” riferivano solo i fatti attinti da testi virtuosi, veraci e degni di fede. E’ pacifico che qualcuno di loro commise anche grossolani errori come chi, per intuizione personale, ispirato più da vanagloria che dallo Spirito di Dio, accreditò la favola della terra piatta, circostanza smentita chiaramente da un’attenta ermeneutica dell’Antico Testamento e del libro del profeta Isaia che per primo, solo in virtù di un’illuminazione divina e non certo di studi astronomici, scrisse: «Egli siede sopra la volta del mondo, da dove gli abitanti sembrano cavallette.
Egli stende il cielo come un velo,
lo spiega come una tenda dove abitare (Isaia 40:22)». Ma un’erronea interpretazione, determinata dalla cattiva traduzione del termine ebraio “chug” o “hug” che significa cerchio/circolo, come anche sfera/globo, fu causa di tanti equivoci a conferma che anche la parola rivelata, per quanto chiara, senza il filtro della Fede autentica, provata e illuminata dall’ispirazione di Dio può condurre a macroscopici sassi d’inciampo logici e teologici. Le parole di Bonaventura da Bagnoregio brillano invece della sua stessa magniloquenza pastorale e rifulgente santità.

 

SAN FRANCESCO : “FERVORE DI CARITA’ E DESIDERIO DI MARTIRIO”

Luca Giordano – particolare dall’Estasi di San Francesco – olio su 1665 ca – Museu Nacional de Arte Antiga, Lisbon, Portugal

Per necessità di sintesi riferiremo solo alcuni dei paragrafi del capitolo IX della Legenda Maior intitolato proprio “Fervore di Carità e desiderio di martirio” che comincia dal numero 1161 per terminare al 1175. I primi capoversi servono a capire bene l’animo e il viatico spirituale con cui il poverello di Assisi affrontò la sua sfida all’Islam in Terra Santa nell”epoca in cui i terribili e malvagi Selgiuchidi per massacrare i cristiani avevano usato l’atroce ed oltraggiosa pratica dell’impalatura per uomini, donne e bambini: chi si domanda il perché dellaPrima Crociata vada a ripassare un po’ di questa maledetta storia… Scrive San Bonaventura: «1161 Chi potrebbe descrivere degnamente il fervore di carità, che infiammava Francesco, amico dello sposo? Poiché egli, come un carbone ardente, pareva tutto divorato dalla fiamma dell’amor divino. Al sentir nominare l’amor del Signore, subito si sentiva stimolato, colpito, infiammato: quel nome era per lui come un plettro, che gli faceva vibrare l’intimo del cuore. “Offrire, in compenso dell’elemosina, il prezioso patrimonio dell’amor di Dio—così egli affermava–è nobile prodigalità; e stoltissimi sono coloro che lo stimano meno del denaro, poiché soltanto il prezzo inapprezzabile dell’amor divino è capace di comprare il regno dei cieli. E molto si deve amare l’amore di Colui che molto ci ha amato ”. 1162 Per trarre da ogni cosa incitamento ad amare Dio, esultava per tutte quante le opere delle mani del Signore e, da quello spettacolo di gioia, risaliva alla Causa e Ragione che tutto fa vivere. Contemplava, nelle cose belle, il Bellissimo e, seguendo le orme impresse nelle creature, inseguiva dovunque il Diletto. Di tutte le cose si faceva una scala per salire ad afferrare Colui che è tutto desiderabile. Con il fervore di una devozione inaudita, in ciascuna delle creature, come in un ruscello, delibava quella Bontà fontale, e le esortava dolcemente, al modo di Davide profeta, alla lode di Dio, perché avvertiva come un.concento celeste nella consonanza delle varie doti e attitudini che Dio ha loro conferito».

 

“GESU’ CRISTO COME BORSETTA DI MIRRA NEL CUORE”

Il ritratto di San Francesco attribuito a Cimabue – tempra su tavola 1290 – Museo della Porziuncola – Basilica di Assisi

Legenda Maior di San Bonaventura: «1163 2 Cristo Gesù crocifisso dimorava stabilmente nelI’intimo del suo spirito, come borsetta di mirra posta sul suo cuore in Lui bramava trasformarsi totalmente per eccesso ed incendio d’amore. Per singolare amore e devozione verso di Lui, a cominciare dalla festa dell’Epifania per quaranta giorni continui, cioè per tutto il tempo in cui Cristo rimase nascosto nel deserto, si ritirava nella solitudine e, recluso nella cella, riducendo cibo e bevanda al minimo possibile, si dedicava senza interruzione ai digiuni, alle preghiere e alle lodi di Dio. Certo il servo di Dio era infiammato da un affetto ardentissimo verso Cristo; ma anche il Diletto lo contraccambiava con grande amore e familiarità, tanto che gli sembrava di sentirsi sempre presente il Salvatore davanti agli occhi, come rivelò una volta lui stesso ai compagni in confidenza. 1165 3. Circondava di indicibile amore la Madre del Signore Gesù, per il fatto che ha reso nostro fratello il Signore della Maestà e ci ha ottenuto la misericordia. In Lei, principalmente, dopo Cristo, riponeva la sua fiducia e, perciò, la costituì avvocata sua e dei suoi. In suo onore digiunava con gran devozione dalla festa degli apostoli Pietro e Paolo, fino alla festa dell’Assunzione. 1166 Agli spiriti angelici, i quali ardono di un meraviglioso fuoco, che infiamman le anime degli eletti e le fa penetrare in Dio, era unito da un inscindibile vincolo d’amore. In loro onore digiunava per quaranta giorni continui, a incominciare dalla Assunzione della Vergine gloriosa, dedicandosi incessantemente alla preghiera. Per il beato Michele Arcangelo, dato che ha il compito di presentare le anime a Dio, nutriva particolare devozione e speciale amore dettato dal suo fervido zelo per la salvezza di tutti i fedeli».

 

IN SIRIA PER EMULARE I SANTI NASCOSTO SULLA NAVE

Legenda Maior di San Bonaventura: «1169 5. L’infocato ardore della carità lo spingeva ad emulare la gloria e il trionfo dei santi martiri, nei quali niente poté estinguere la fiamma dell’amore o indebolire la fortezza dell’animo. Acceso da quella carità perfetta, che caccia via il timore, bramava anch’egli di offrirsi, ostia vivente, al Signore, nel fuoco del martirio, sia per rendere il contraccambio al Cristo che muore per noi, sia per provocare gli altri all’amore di Dio. 1170 A sei anni dalla sua conversione, infiammato dal desiderio del martirio, decise di passare il mare e recarsi nelle parti della Siria, per predicare la fede cristiana e la penitenza ai saraceni e agli altri infedeli. Ma la nave su cui si era imbarcato, per raggiungere quel paese, fu costretta dai venti contrari a sbarcare dalle parti della Schiavonia. Vi rimase per qualche tempo: ma poi, non riuscendo a trovare una nave che andasse nei paesi d’oltremare, defraudato nel suo desiderio, pregò alcuni marinai diretti ad Ancona, di prenderlo con sé, per amor di Dio. Ne ebbe un netto rifiuto, perché non aveva il denaro necessario. Allora l’uomo di Dio, riponendo tutta la sua fiducia nella bontà del Signore, salì ugualmente, di nascosto, sulla nave, col suo compagno. Si presentò un tale — certo mandato da Dio in soccorso del suo poverello–portando con sé il vitto necessario. Chiamò uno dei marinai, che aveva timor di Dio, e gli parlò così: “Tutta questa roba tienila per i poveri frati che sono nascosti sulla nave: gliela darai, quando ne avranno bisogno ”. Se non che capitò che, per la violenza del vento, i marinai, per moltissimi giorni, nonpoterono sbarcare e così consumarono tutte le provviste. Era rimasto solo il cibo offerto in elemosina, dall’alto, a Francesco poverello. Era molto scarso, in verità; ma la potenza divina lo moltiplicò, in modo tale che bastò per soddisfare pienamente la necessità di tutti, per tutti quei giorni di tempesta, finché poterono raggiungere il porto di Ancona. I marinai, vedendo che erano scampati molte volte alla morte, per i meriti del servo di Dio, resero grazie a Dio onnipotente, che si mostra sempre mirabile e amabile nei suoi amici e nei suoi servi. Ben a ragione, perché avevano provato da vicino gli spaventosi pericoli del mare e avevano visto le ammirabili opere di Dio nelle acque profonde. 1171 6. Lasciato il mare, incominciò a pellegrinare sulla terra spargendovi il seme della salvezza e raccogliendo una messe abbondante di buoni frutti. Ma era il frutto del martirio quello che maggiormente lo attirava; era il merito di morire per Cristo, quello che egli bramava al di sopra di ogni altra opera virtuosa e meritoria. Si mise, perciò in cammino alla volta del Marocco, con l’intento di predicare al Miramolino e alla sua gente il Vangelo di Cristo e di vedere se riusciva in tale maniera a conquistare la sospirata palma dei martiri. Era spinto da un desiderio così intenso, che, quantunque di fisico debole, precedeva correndo il suo compagno di pellegrinaggio: bramoso di realizzare il proposito, in ebbrezza di spirito, volava. Aveva già raggiunto la Spagna, quando, per disposizione di Dio che lo riservava ad altri compiti, fu colpito da una malattia gravissima, che fece svanire i suoi desideri. L`uomo di Dio capì, allora, che la sua vita era ancora necessaria ai suoi figli e, benché ritenesse la morte un guadagno, tornò indietro, a pascere le pecore affidate alle sue cure.

 

IL SULTANO DI BABILONIA E LA TAGLIA SUI CRISTIANI

Domenico Manfredi – L’incontro col sultano – Storie di S. Francesco – affresco Borgo a Mozzano – 1635 ca

Legenda Maior di San Bonaventura: «1172 7. Ma l’ardore della carità lo spingeva al martirio; sicché ancora una terza volta tentò di partire verso i paesi infedeli, per diffondere, con l’effusione del proprio sangue, la fede nella Trinità. A tredici anni dalla sua conversione, partì verso le regioni della Siria, affrontando coraggiosamente molti pericoli, alfine di potersi presentare al cospetto del Soldano di Babilonia. Fra i cristiani e i saraceni era in corso una guerra implacabile: i due eserciti si trovavano accampati vicinissimi, I’uno di fronte all’altro, separati da una striscia di terra, che non si poteva attraversare senza pericolo di morte. Il Soldano aveva emanato un editto crudele: chiunque portasse la testa di un cristiano, avrebbe ricevuto il compenso di un bisante d’oro. Ma Francesco, I’intrepido soldato diCristo, animato dalla speranza di poter realizzare presto il suo sogno, decise di tentare l’impresa, non atterrito dalla paura della morte, ma, anzi, desideroso di affrontarla. Confortandosi nel Signore, pregava fiducioso e ripeteva cantando quella parola del profeta: Infatti anche se dovessi camminare in mezzo all’ombra di morte, non temerò alcun male, perché tu sei con me».

 

“COME AGNELLI IN MEZZO AI LUPI”: CATTURATI E MALMENATI

Legenda Maior di San Bonaventura: «1173 8. Partì, dunque, prendendo con sé un compagno, che si chiamava Illuminato ed era davvero illuminato e virtuoso. Appena si furono avviati, incontrarono due pecorelle, il Santo si rallegrò e disse al compagno: “Abbi fiducia nel Signore, fratello, perché si sta realizzando in noi quella parola del Vangelo: — Ecco, vi mando come agnelli in mezzo ai lupi–”. Avanzarono ancora e si imbatterono nelle sentinelle saracene, che, slanciandosi come lupi contro le pecore, catturarono i servi di Dio e, minacciandoli di morte, crudelmente e sprezzantemente li maltrattarono, li coprirono d’ingiurie e di percosse e li incatenarono. Finalmente, dopo averli malmenati in mille modi e calpestati, per disposizione della Divina Provvidenza, li portarono dal Sultano, come l’uomo di Dio voleva. Quel principe incominciò a indagare da chi, e a quale scopo e a quale titolo erano stati inviati e in che modo erano giunti fin là. Francesco, il servo di Dio, con cuore intrepido rispose che egli era stato inviato non da uomini, ma da Dio altissimo, per mostrare a lui e al suo popolo la via della salvezza e annunciare il Vangelo della verità. E predicò al Soldano il Dio uno e trino e il Salvatore di tutti, Gesù Cristo, con tanto coraggio, con tanta forza e tanto fervore di spirito, da far vedere luminosamente che si stava realizzando con piena verità la promessa del Vangelo: Io vi darò un linguaggio e una sapienza a cui nessuno dei vostri avversari potrà resistere o contraddire».

 

FRANCESCO INVITA ALLA CONVERSIONE IL SOLDANO

Beato Angelico – San Francesco davanti al sultano – tempera su tavola 1429 ca – Lindenau Museum Altenburg

Legenda Maior di San Bonaventura: «1174 Anche il Soldano, infatti, vedendo l’ammirevole fervore di spirito e la virtù dell’uomo di Dio, lo ascoltò volentieri e lo pregava vivamente di restare presso di lui. Ma il servo di Cristo, illuminato da un oracolo del cielo, gli disse: “ Se, tu col tuo popolo, vuoi convertirti a Cristo, io resterò molto volentieri con voi. Se, invece, esiti ad abbandonare la legge di Maometto per la fede di Cristo, dà ordine di accendere un fuoco il più grande possibile: Io, con i tuoi sacerdoti, entrerò nel fuoco e così, almeno, potrai conoscere quale fede, a ragion veduta, si deve ritenere più certa e più santa”. Ma il Soldano, a lui: “Non credo che qualcuno dei miei sacerdoti abbia voglia di esporsi al fuoco o di affrontare la tortura per difendere la sua fede ”. (Egli si era visto, infatti, scomparire immediatamente sotto gli occhi, uno dei suoi sacerdoti, famoso e d’età avanzata, appena udite le parole della sfida). E il Santo a lui: “Se mi vuoi promettere, a nome tuo e a nome del tuo popolo, che passerete alla religione di Cristo, qualora io esca illeso dal fuoco, entrerò nel fuoco da solo. Se verrò bruciato, ciò venga imputato ai miei peccati; se, invece, la potenza divina mi farà uscire sano e salvo, riconoscerete Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio, come il vero Dio e signore, salvatore di tutti. Ma il Soldano gli rispose che non osava accettare questa sfida, per timore di una sedizione popolare. Tuttavia gli offrì molti doni preziosi; ma l’uomo di Dio, avido non di cose mondane ma della salvezza delle anime, li disprezzò tutti come fango. Vedendo quanto perfettamente il Santo disprezzasse le cose del mondo, il Soldano ne fu ammirato e concepì verso di lui devozione ancora maggiore. E, benché non volesse passare alla fede cristiana, o forse non osasse, pure pregò devotamente il servo di Cristo di accettare quei doni per distribuirli ai cristiani poveri e alle chiese, a salvezza delI’anima sua. Ma il Santo, poiché voleva restare libero dal peso del denaro e poiché non vedeva nell’animo del Soldano la radice della vera pietà, non volle assolutamente accondiscendere».

 

LA RINUNCIA DI FRANCESCO A CONVERTIRE I MUSULMANI

Legenda Maior di San Bonaventura: «1175 9. Vedendo, inoltre, che non faceva progressi nella conversione di quella gente e che non poteva realizzare il suo sogno, preammonito da una rivelazione divina, ritornò nei paesi cristiani. E così, per disposizione della bontà divina e per i meriti e la virtù del Santo, avvenne, misericordiosamente e mirabilmente, che l’amico di Cristo cercasse con tutte le forze di morire per Lui e non potesse assolutamente riuscirvi. E in tal modo, da una parte non gli mancò il merito del martirio desiderato e, dall’altra, egli venne risparmiato per essere più tardi insignito di un privilegio straordinario. Quel fuoco divino, che gli bruciava nel cuore, diventava intanto più ardente e perfetto, perché in seguito riverberasse più luminoso nella sua carne. O uomo veramente beato, che non viene straziato dal ferro del tiranno, eppure non viene privato della gloria di assomigliare all’Agnello immolato! O uomo, io dico, veramente e pienamente beato, che “non perdette la vita sotto la spada del persecutore, eppure non perdette la palma del martirio! ”».

 

LA CONVERSIONE DELLA DONNA MORESCA

Benozzo Gozzol -Il santo dal sultano e la tentazione della donna – Museo S. Francesco Montefalco 1450 ca

Sebbene non sia riuscito a convertire il sultano, Francesco avrebbe invece evangelizzato una donna moresca. L’episodio ha poca notorietà nella storia del santo probabilmente perché soggetto a prestarsi ad interpretazioni maliziose di coloro che a tutti i costi vogliono insinuare il peccato anche laddove risplende la virtù. Si tratta della «la tentazione da parte di una donna “bellissima del corpo ma sozza dell’anima”, come riportano i Fioretti: Francesco invitò la donna a giacere con lui su un letto di braci ardenti e lei si convertì». Ne riferisce un dotto e dovizioso articolo di Alessandro Santini per il blog quelli del Museo di San Marco intitolato «Le storie di San Francesco negli Affreschi del ‘600 a Borgo a Mozzano. Benozzo Gozzoli, e altre suggestioni”. «Su storia e iconografia del ciclo, è uscito da poco uno studio, a cura di Christopher Stace (A sua immmagine, 2016) – evidenzia Santini – Basato su fonti agiografiche e artistiche, è un bell’esempio, così raro in Italia, di alta divulgazione culturale: rigoroso, ma al tempo stesso chiaro e accessibile a tutti, ricchissimo di immagini. Era il 1635 quando il maestro Domenico Manfredi da Camaiore, probabilmente assieme a qualche aiuto, iniziò a dipingere le lunette del chiostro del convento dei Minori Osservanti di Borgo a Mozzano. Edificato negli anni Venti del ‘500, con il beneplacito di Clemente VII, secondo papa Medici, il convento del Borgo, con la sua arte e la sua storia,  rivela l’importanza  e la popolarità dell’Osservanza francescana, in una terra che, nel ‘400, aveva assistito all’opera e alle predicazioni dei frati Ercolano da Piegaro, Bernardino da Siena e Bernardino da Feltre, “campioni” dell’Osservanza.  Il lavoro del Manfredi si protrasse fino al 1637, per un totale di 29 lunette affrescate (più una esterna, sopra il portone di ingresso: L’incontro fra San Francesco e San Domenico), che illustrano 38 episodi della vita di San Francesco». In quelle lunette prende importanza proprio la storia della conversione della donna: «Manfredi illustra la vicenda di Francesco in Egitto alla corte del sultano, dividendola in due lunette: la predica davanti al sultano con la prova del fuoco e la tentazione da parte di una donna» rimarca l’articolista notando che invece «Il Gozzoli a Montefalco (complesso museale di S. Francesco 1450 c.a) unisce i due episodi in una scena unica dove, sinteticamente, sono presenti il sultano, la donna e un solo fuoco». Un episodio certamente marginale rispetto alle splendide pagine della narrazione di San Bonaventura che non lo cita nemmeno ma assai interessante.

Domenico Manfredi – lunetta della tentazione – Storie di S. Francesco – affresco Borgo a Mozzano – 1635 ca

 

LA VITTORIA DEL SANTO PER LA LIBERAZIONE DI GERUSALEMME

Peter Paul Rubens – Daniele nella fossa – olio su tela dei 1615 – National Art Gallery Washington

L’evangelizzazione pacifica traboccante dalla Legenda Maior ci induce a riflettere sull’esempio di San Francesco che non fu animato da “volontà di dialogo a qualsiasi costo” bensì dal puro ispirato sogno della conversione dei musulmani, seguaci dell’impostore Maometto come lo avrebbe poi definito l’altro santo Giovanni Bosco (di cui riportiamo l’intervento in un link fondo pagina), attraverso una testimonianza di devozione a Gesù Cristo fino al martirio. «Io rispetto le persone di altre religioni ma difendo la mia fino al martirio» è il semplice concetto espresso anche da suorKornelia Kordic, madre superiora delle Missionarie della Famiglia Ferita che nell’Orfanotrofio Giovanni Paolo II di Medjugorie (link youtube sotto) accolgono orfani, ragazze madri e anziani soli sia cristiani che musulmani. Ebbene quasi tutti i teologi, gli agiografi e gli storici sono inclini nel ritenere che quel viaggio dell’assisiate fu un insuccesso. Ma così appare da una lettura superficiale poiché proprio la sfida dell’ordalia, l’esporsi al giudizio di Dio in questo caso con la prova del fuoco, fu una pietra miliare della forza cristiana dinnanzi al più feroce sovrano islamico di quel tempo che anni dopo fu mosso a mitezza tanto da favorire una vittoria degli stessi cristiani bene evidente nella storia millenaria di Acri, la città egiziana vicina a Damietta.

Giuseppe Porta detto il Salviati (attribuito?) – Giuseppe e il faraone – olio su tavola – 1550 ca

«Gli Arabi presero la città nel 638, e la tennero fin quando la persero nel 1104, ad opera dei Crociati. Essi la costituirono nel loro porto principale in Palestina. Fu riconquistata da Saladino nel 1187, assediata da Guido di Lusignano nel 1189 che avviò l’Assedio di Acri, e conquistata ancora da Riccardo I d’Inghilterra nel 1191. Divenne quindi la capitale di ciò che rimaneva del Regno di Gerusalemme – narra Wikipedia – Nel 1229 fu posta sotto il controllo dai cavalieri Ospitalieri (da cui essi derivarono uno dei tanti nomi dell’Ordine), dopo l’accordo pacifico raggiunto l’11 febbraio 1229 col sultano ayybide Malik Al-Kâmil da parte di Federico II di Svevia, che permise all’Imperatore di entrare a Gerusalemme il 17 marzo del 1229, riportando la Città Santa (salvo la spianata della Cupola della Roccia e la Moschea al-Aqsa) sotto il controllo cristiano». Ebbene quel sovrano musulmano è proprio lo stesso che 10 anni prima fu commosso da San Francesco, capace di favorire quella pace, anche dopo essere nato al Cielo nel 1228, non per compromesso di fede bensì per strenua testimonianza della propria devozione a Cristo. Un’ordalia teofanica simile a quella con cui il profeta Daniele uscì indenne dalla fossa dei leoni convertendo un re babilonese. O la testimonianza di fedeltà al Dio di Abramo con cui Giuseppe, figlio di Israele venduto schiavo dai fratelli per invidia, sfidò l’ira del faraone egiziano: al quale però predisse il periodo di carestia nella valle prosperosa del Nilo meritandosi la nomina a principe d’Egitto ed il nuovo nome di Zaphnath-Paaneah: il Salvatore.

Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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Redazione Art & Wine News

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